Dojo (道場
dōjō) è un termine giapponese che indica il
luogo dove si svolgono gli allenamenti alle arti marziali.
Etimologicamente significa "luogo (jō) dove si segue la
via (dō)". In origine il termine, ereditato dalla
tradizione buddhista cinese, indicava il luogo in cui il Buddha
ottenne il risveglio e per estensione i luoghi deputati alla pratica
religiosa nei templi buddhisti. Il termine venne poi adottato nel
mondo militare e nella pratica del bujutsu, che durante il periodo
Edo fu influenzata dalla tradizione Zen, perciò è a tutt'oggi
diffuso nell'ambiente delle arti marziali.
Nel
budō
il dojo è lo spazio in cui si
svolge l'allenamento ma è anche simbolo della profondità del
rapporto che il praticante instaura con l'arte marziale; tale ultimo
aspetto è proprio della cultura buddhista cinese e giapponese, che
individua il dojo quale luogo dell'isolamento e della meditazione.
I dojo erano spesso piccoli locali
situati nelle vicinanze di un tempio o di un castello, ai margini
delle foreste, in modo tale che i segreti delle tecniche venissero
più facilmente preservati. Con la diffusione delle arti marziali
sorsero numerosi dojo che venivano in molti casi considerati da
maestri e praticanti una seconda casa; abbelliti con lavori di
calligrafia e oggetti artistici preparati dagli stessi allievi, essi
esprimevano appieno l'atmosfera di dignità che vi regnava; talvolta
su di una parete veniva posto uno scrigno, simbolo che il dojo era
dedicato ai più alti valori e alle virtù del dō,
non soltanto all'esercizio fisico.
In altri dojo si trovavano gli altari detti kamiza (sede degli dei),
riferiti non a divinità ma al ricordo di un grande maestro defunto.
Il dojo rappresenta un luogo di meditazione, concentrazione,
apprendimento, amicizia e rispetto, è il simbolo della "via"
dell'arte marziale.
In Occidente questo termine viene
impropriamente tradotto in palestra e inteso unicamente come spazio
per l'allenamento, mentre nella cultura orientale il dojo è il luogo
nel quale si può raggiungere, seguendo la "via", la
perfetta unità tra
zen
(mente) e
ken
(corpo) e, quindi, il perfetto
equilibrio psicofisico, massima realizzazione della propria
individualità. Il dojo è la scuola del sensei (maestro): egli ne
rappresenta il vertice e sue sono le direttive e le norme di buon
andamento della stessa; oltre al maestro ci sono altri insegnanti,
suoi allievi, e i
senpai
(allievi anziani di grado) che
svolgono un importante ruolo: il loro comportamento quotidiano
rappresenta l'esempio che deve guidare gli altri praticanti; quando
un senpai
non si cura del proprio comportamento
diventa un danno per tutta la scuola.
Nessun allievo avanzato prende dal dojo
più di quanto esso non dia a sua volta: il dojo non è semplice
spazio ma anche immagine di un atteggiamento, i dojo della "via"
si differenziano in questo aspetto dai normali spazi sportivi:
l'esercizio fisico può anche essere il medesimo ma è la ricerca del
giusto atteggiamento che consente di progredire. L'allievo entra nel
dojo e deve lasciare alle spalle tutti i problemi della quotidianità,
purificarsi la mente e concentrarsi sull'allenamento per superare i
propri limiti e le proprie insicurezze, in un costante confronto con
sé stesso.
Il dojo è come una piccola società,
con regole ben precise che devono essere rispettate. Quando gli
allievi indossano il keikogi
diventano tutti uguali; la
loro condizione sociale o professionale viene lasciata negli
spogliatoi, per il maestro essi sono tutti sullo stesso piano. Si
apprende con le tecniche una serie di norme, che vanno dalla cura
della persona e del keikogi (che mostra solo l'emblema della scuola),
al fatto di non urlare, non sporcare, non fumare, non portare
orecchini o altri abbellimenti (per evitare di ferirsi o di ferire),
al fatto di comportarsi educatamente sino all'acquisizione dell'etica
dell'arte marziale che discende da quella arcaico-feudale dei
samurai: il bushido o "via del guerriero".
Il coraggio, la gentilezza, il
reciproco aiuto, il rispetto di se stessi e degli altri sono dettami
che entrano a far parte del bagaglio culturale dell'allievo. Nel dojo
non si usa la violenza: non per nulla le arti marziali enfatizzano la
forza mentale e non quella fisica, condannata prima o poi ad
affievolirsi.
Si entra e si esce dal dojo
inchinandosi: un segno di rispetto verso l'arte del ringraziamento
per tutto ciò che di valido essa ha offerto. Anticamente nel dojo
veniva eseguito il rito del soji
(pulizia): gli allievi, usando
scope e strofinacci, pulivano l'ambiente, lasciandolo in ordine per i
successivi allenamenti. Tale gesto è il simbolo della purificazione
del corpo e della mente: i praticanti si preparano ad affrontare il
mondo esterno con umiltà, dote necessaria per apprendere e per
insegnare l'arte marziale.
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