sabato 30 luglio 2022

Kenpō

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Il kenpō (拳法 pron. [ke̞mpo̞ː]), noto in occidente anche con la traslitterazione kempō, è un'arte marziale giapponese di origine cinese.
Kenpō è un vocabolo sino-giapponese (analogo al cinese quanfa) che significa "boxe" tradizionale, in senso generico. Il termine è stato adottato in Giappone in epoca moderna e indica un gruppo di metodi ispirati agli stili cinesi sviluppatisi soprattutto a partire dall'era Ming.

Origini
Il kenpō è un'arte marziale di combattimento senz'armi probabilmente praticata dal VII secolo dai monaci buddisti di Shaolin, che divenne prima il Jiaodishu, poi il Kaiko (sotto l'influenza mongola) e infine Kenyu (arte del pugno o legge del pugno) per le sue tecniche di pugno.
Vi sono due teorie riguardo l'origine del kenpō: la prima lo vede come un'arte marziale giapponese nata nel 1932 ad opera del maestro M. Sawayama; la seconda ritiene le sue origini più antiche e lo considera un'arte marziale cinese praticata già nel VII secolo a.C. e introdotta ad Okinawa intorno al 1600.
Durante la dinastia T'ang, periodo d'oro della storia cinese, quasi tutte le potenze confinanti avevano stretti rapporti economico-culturali con la Cina: si presume, quindi, che una forma di kenpō sia passata dal continente asiatico alle isole Ryūkyū e qui abbia avuto sviluppi diversificati. Sembrerebbe che il kenpō sia entrato in Giappone grazie un monaco per diffondere il buddhismo, oppure da studenti giapponesi a Pechino.
Tra il V secolo d.C. e il VI secolo d.C. questo monaco buddista indiano di nome Bodhidharma, conosciuto in Giappone come Daruma Taishi, giunse in Cina, dove visse a lungo in un tempio: lo Shaolinsi, considerato l'epicentro del kenpō e dal quale si diffuse poi in tutta la Cina. Il monaco mise a punto un metodo di lotta che prese il nome di Shaolinquan tramandata di padre in figlio. Nel 1406 le isole Ryu Kyu furono unite in un unico reame e le armi furono confiscate per paura di eventuali ribellioni. Nel XVII secolo il divieto delle armi viene rinnovato e causa diretta fu lo sviluppo di un metodo di difesa personale a mani nude, il kenpō cinese o Via del pugno.
Le tecniche di kenpō influenzarono profondamente quelle dell'Okinawa-te (il futuro Karate, verso la fine del XIX secolo). Il kenpō viene anche chiamato Hakuda, Shuhaku e Ch'uan-fat o Ken-fat in cinese. Dal kenpō deriverebbero il Po-kua e l'Hising-i.
Fra le tecniche del kenpō rientrano calci, pugni, proiezioni, lussazioni, leve articolari e combattimento corpo a corpo sia in piedi che a terra.

venerdì 29 luglio 2022

Hojo undō

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Hojo undō (補助運動) è un termine della lingua giapponese che tradotto significa: "esercizi supplementari", riferendosi agli esercizi per il condizionamento usati nelle arti marziali. L'allenamento Hojo undō fu progettato per addestrare la forza fisica su entrambi i lati del corpo, capacità di resistenza, coordinazione muscolare, velocità e postura. Questo stile di allenamento utilizza tradizionali attrezzature fatte di legno e pietra.


Chi shi
Nigiri game, Chi shi
Chi shi (leve appesantite), sono concretamente dei pesi che si attaccano ad un palo di legno. Il praticante afferra con forza la fine del palo di legno (contrario al peso) e si muove il polso e le braccia usando le normali tecniche utilizzate nei kata o contro gli avversari. Questo allenamento utilizzato coi pesi aiuta a fortificare le dita, le mani, le braccia ed il torace.

Ishi sashi
Ishi sashi: sono dei pesi portatili a forma di luchetti tradizionalmente fatti di pietra.Il loro utilizzo si diffuse successivamente anche in Asia chiamato "ghira", caratterizzato da materiale metallico, e successivamente negli Stati Uniti e in Europa come kettlebell. Oggi è presente anche per pratiche differenti dagli sport da combattimento, riscontrando benefici anche nel fitness, tale pratica si è sempre più diffusa nei wellness clubs.

Makiage kigu
Il makiage kigu,(polso che ruota) è un peso che viene appeso ad una corda da un manico di legno. Il praticante colpisce il peso che si appende al centro, e torce il manico per avvolgere la corda intorno al manico. Il manico viene sollevato e abbassato in tutta la torsione per fortificare i polsi.

Nigiri game
I "Nigiri game" (vasi per la presa) sono vasi di ceramica pieni di sabbia e di peso variabile. I vasi sono presi sull'estremità. Quindi, mentre tiene i vasi, il praticante si muove in diverse direzioni, in modo tale da rafforzare le braccia, le spalle, la schiena, e le gambe.

Tetsu geta
I "Tetsu geta" (zoccoli di ferro) sono indossati come dei sandali, ma richiedono la presa degli zoccoli con le dita dei piedi. Il professionista esegue dei movimenti e calcia mentre li indossa. Il peso aggiuntivo necessario per spostare il piede rafforza la gamba per calciare.

Jeri bako
La "Jeri bako" è semplicemente un recipiente contenente della sabbia, e viene utilizzato colpendolo con le proprie dita. Questo esercizio rafforza le dita e le punte, e ci si può tranquillamente allenare con un recipiente contenente del riso.

Kongoken
Il "Kongoken" è una barra di metallo a forma ovale che può variare di peso ed è usata per condizionare le braccia, le gambe, i polsi e rafforzare il tronco. Questo è stato utilizzato dai lottatori delle Hawaii, e il maestro Miyagi Chojun lo ha introdotto tra gli strumenti del Undo Hoju.

mercoledì 27 luglio 2022

Stile Shotokan

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Lo Stile Shotokan (松濤館流 Shōtōkan-ryū) è uno stile di karate, nato dall'incontro di varie arti marziali, codificato dal Maestro Gichin Funakoshi (1868-1957) e da suo figlio, il Maestro Yoshitaka Funakoshi (1906-1945). Un termine spesso accoppiato a Shotokan è Shotokai. Spesso si identifica erroneamente la parola Shotokai come un sottostile dello Shotokan, ma non è così: shotokai non è altro che l'associazione (kai=associazione) mondiale che regola lo stile Shotokan. Il Maestro Gichin Funakoshi è universalmente riconosciuto per aver esportato e diffuso il karate dall'isola di Okinawa all'intero Giappone, anche se alcuni importanti maestri, come Kenwa Mabuni e Chōki Motobu, vi insegnavano già il karate da tempo prima. Lo Shotokan è dunque uno degli stili moderni del karate giapponese, oltre a Shitō-ryū e Wado-ryu. Nonostante abbia avuto origine come un'unica scuola di karate, sviluppatasi all'interno della Japan Karate Association, al giorno d'oggi esistono parecchie organizzazioni indipendenti.

Etimologia
Shoto (松濤 Shōtō) significa "brezza nella pineta" (o più precisamente "onda di pino") ed era lo pseudonimo che il Maestro Funakoshi utilizzava per firmare le sue poesie ed i suoi scritti. La parola giapponese kan (kan) significa invece "sala", ed è riferita al dojo. In onore del loro Maestro, gli allievi di Funakoshi crearono un cartello con la scritta Shoto-kan che posero sopra l'ingresso del dojo in cui egli insegnava. In realtà il Maestro Funakoshi non diede mai un nome al suo stile, definedolo semplicemente "karate".

Caratteristiche
La pratica dello Shotokan è in genere divisa in tre parti: kihon (i fondamentali), kata (forme o sequenze di movimenti, ovvero un combattimento reale contro uno o più avversari immaginari) e kumite (combattimento). Le tecniche eseguite nel kihon e nei kata sono caratterizzate, in alcuni casi, da posizioni lunghe e profonde, che consentono stabilità, permettono movimenti forti e rinforzano le gambe. Le tecniche del kumite rispecchiano queste posizioni e movimenti al livello base, ma con maggior esperienza diventano più flessibili e fluide. Nel karate shotokan, inoltre, si usano tecniche di leve e di proiezioni.

Filosofia
Il Maestro Gichin Funakoshi espose i Venti Principi del Karate (o Niju kun), che costituirono le basi della disciplina prima che i suoi studenti fondassero la JKA. In questi principi, fortemente basati sul bushidō e sullo zen, è contenuta la filosofia dello stile Shotokan. Essi contengono nozioni di umiltà, rispetto, compassione, pazienza e calma sia interiore che esteriore. Il Maestro Funakoshi riteneva che attraverso la pratica del karate e l'osservazione di questi principi, il karateka era in grado di migliorarsi. Molte scuole Shotokan recitano tuttora il Dōjō kun alla fine di ogni allenamento, per trovare e aumentare sia la motivazione che lo spirito.
Lo stesso Maestro Funakoshi scrisse: "Lo scopo ultimo del karate non si trova nella vittoria o nella sconfitta, ma nella perfezione del carattere dei partecipanti".

Lo Stile Shotokan nel mondo
Nella prima metà degli anni sessanta, i responsabili della Japan Karate Association, in primis il maestro Masatoshi Nakayama, decisero che era giunto il momento di portare il "loro" karate nel mondo. A tale scopo inviarono negli Stati Uniti e in Europa alcuni giovani maestri che sarebbero diventati nel tempo pietre miliari del karate internazionale: Hidetaka Nishiyama e Hirokazu Kanazawa negli Usa, Taiji Kase in Francia, Hiroshi Shirai in Italia, Keinosuke Enoeda in Inghilterra, Hideo Ochi in Germania. Da questi paesi la diffusione fu capillare, niente fu lasciato al caso: stages, competizioni, seminari e una organizzazione perfetta, fecero sì che in pochi anni il karate Shotokan ebbe sotto la sua egida milioni di praticanti in tutto il mondo.
I Venti Principi Guida di Funakoshi (松濤二十訓, Shōtō Nijū Kun)
I venti principi fondamentali dello spirito del Karate insegnati dal maestro Gichin Funakoshi sono:
  1. Non dimenticare che il karate-dō comincia e finisce con il saluto. (一、空手は礼に初まり礼に終ることを忘るな 。)
  2. Nel karate non esiste primo attacco. (Karate ni sente nashi), (二、空手に先手無し。).
  3. Il karate è dalla parte della giustizia (三、空手は義の補け。).
  4. Conosci prima te stesso, poi gli altri (四、先づ自己を知れ而して他を知れ。).
  5. Lo spirito viene prima della tecnica (五、技術より心術。).
  6. Libera la mente (il cuore) (六、心は放たん事を要す。).
  7. La disattenzione è causa di disgrazia (七、禍は懈怠に生ず。).
  8. Il karate non si vive solo nel dōjō (八、道場のみの空手と思うな。).
  9. Il karate si pratica tutta la vita (九、空手の修行は一生である。).
  10. Applica il karate a tutte le cose, lì è la sua ineffabile bellezza (十、凡ゆるものを空手化せ其処に妙味あり。).
  11. Il karate è come l'acqua calda, occorre riscaldarla costantemente o si raffredda (十一、空手は湯の如く絶えず熱を与えざれば元の水に返る。).
  12. Non pensare a vincere, pensa piuttosto a non perdere (十二、勝つ考えは持つな、負けぬ考えは必要。).
  13. Cambia in funzione del tuo avversario (十三、敵に因って転化せよ。).
  14. Nel kumite devi saper padroneggiare il Pieno e il Vuoto (十四、戦は虚実の操縦如何にあり。).
  15. Considera mani e piedi come spade (十五、人の手足を劔と思え。).
  16. Oltre la porta di casa, puoi trovarti di fronte anche un milione di nemici (十六、男子門を出づれば百万の敵あり。).
  17. La guardia è per i principianti; più avanti si torna alla posizione naturale (十七、構えは初心者に、あとは自然体。).
  18. I kata vanno eseguiti correttamente; il kumite è altra cosa (十八、型は正しく、実戦は別もの。).
  19. Non dimenticare dove occorre usare o non usare la forza, rilassare o contrarre, applicare la lentezza o la velocità, in ogni tecnica (十九、力の強弱、体の伸縮、技の緩急を忘るな。).
  20. Sii sempre creativo (二十、常に思念工夫せよ。).


Le Regole del Dōjō (道場訓, Dōjō Kun)
  • Hitotsu, Jinkaku Kansei ni Tsutomuru Koto - Prima di tutto, cerca di perfezionare il carattere
  • Hitotsu, Makoto no Michi wo Mamoru Koto - Prima di tutto, percorri la via della sincerità
  • Hitotsu, Doryoku no Seishin wo Yashinau Koto - Prima di tutto, rafforza instancabilmente lo spirito
  • Hitotsu, Reigi wo Omonzuru Koto - Prima di tutto, osserva un comportamento impeccabile
  • Hitotsu, Kekki no Yu wo Imashimuru Koto - Prima di tutto, astieniti dalla violenza e acquisisci l'autocontrollo
Termini comuni
Molti termini utilizzati nel karate derivano dalla cultura giapponese. Mentre alcuni sono nomi (ad es. Yame, Gankaku), altri sono esclusivi delle arti marziali (ad es. kata, kumite). Parecchi termini sono solo raramente utilizzati nella vita quotidiana (ad es. zenkutsu dachi) mentre altri appaiono di frequente (ad es. rei). Questa terminologia giapponese è spesso mantenuta anche nelle scuole al di fuori del Giappone, per conservare la cultura originaria di Okinawa e la filosofia del Maestro Funakoshi.
I kyu sono 9 a partire dalla cintura bianca fino alla cintura marrone che è il passaggio da kyu a 1º dan la cintura nera. Riguardo ai kata, inizialmente questi erano 15 (oltre i Taikyoku, considerati preliminari), che il Maestro Funakoshi considerava la base dello stile. Heian shodan, Heian nidan, Heian sandan, Heian yodan, Heian godan, Tekki shodan, Tekki nidan, Tekki sandan, Bassai-dai, Kanku-dai, Jion, Empi, Jitte, Hangetsu, Gankaku. Gli altri furono aggiunti successivamente.

Kata
  • Taikyoku shodan
  • Taikyoku Nidan
  • Taikyoku sandan
  • Heian shodan
  • Heian Nidan
  • Heian Sandan
  • Heian Yondan
  • Heian Godan
  • Tekki Shodan
  • Tekki Nidan
  • Tekki sandan
  • Bassai dai
  • Bassai sho
  • Kanku sho
  • Kanku dai
  • Jion
  • Empi
  • Hangetsu
  • Gankaku
  • Jitte
  • Nijushiho
  • Sochin
  • Unsu
  • Gojushiho dai
  • Gojushiho sho
  • Jiin
  • Wankan
  • Meikyo
  • Chinte


Kumite
Il kumite è l'applicazione dei kihon (o tecniche basilari) attraverso il confronto con un avversario. Una delle regole più importanti di questa applicazione è l'autocontrollo. Senza autocontrollo non è possibile combattere in modo sicuro, in quanto ci si potrebbe infortunare anche in modo grave (fratture ecc.). L'obiettivo, invece, è quello di sprigionare la massima energia, rapidità e forza nell'attacco, in modo da renderlo il più reale possibile ma con il massimo controllo, soprattutto a livello del viso. Ai praticanti più avanzati si permette infatti un contatto a livello del tronco, Allo stesso modo, chi difende, deve essere il più veloce e scattante possibile per parare, evitare i colpi, rientrare a sua volta con tecniche di attacco e rimettersi nella posizione che garantisca una difesa impeccabile.
Il kumite può avere diversi tipi di forme:
  • 1. Gohon kumite: l'attaccante fa 5 attacchi, ognuno con il passo avanti
  • 2. Sanbon kumite: l'attaccante fa solo 3 attacchi con il passo avanti
  • 3. Kihon ippon kumite: l'attaccante fa un solo attacco con un solo spostamento in avanti
  • 4. Jiyu ippon da 3 metri: uguale a quello precedente, solo che l'attaccante è distante 3 metri dal difensore e quindi deve avanzare
  • 5. Jiyu kumite: gli avversari combattono senza dichiarare i colpi (kumite libero).




martedì 26 luglio 2022

Kata

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Con il termine Kata (giapponese o , traducibile con forma, modello, esempio) si indica, nelle arti marziali giapponesi, una serie di movimenti codificati che rappresentano varie tecniche di combattimento in modo da evidenziarne i principi fondanti e le opportunità di esecuzione ottimali (spazio, tempo e velocità). L'espressione è l'equivalente del Taolu nelle arti marziali cinesi.
Queste forme sono il risultato di secoli di studio e codifica da parte dei grandi maestri: lo scopo primario di un Kata è infatti quello di tramandare la grande conoscenza acquisita agli allievi, poiché all'interno dei vari Kata è possibile trovare tutte le tecniche dell'arte marziale che si sta eseguendo. Sebbene lo scopo principale di un Kata sia prettamente didattico non è da sottovalutare anche il suo aspetto spirituale, secondo il quale il praticante vive il Kata facendo vibrare le corde più profonde del proprio corpo esercitando un forte autocontrollo sulla respirazione e ricercando la maggiore efficacia possibile nelle tecniche, armonizzando il tutto in un qualcosa che va oltre un semplice schema.
I Kata esistono nel Karate, nel Judo e all'interno della pratica di diverse scuole antiche di armi giapponesi come il Kobudo, lo Iaidō, il Jodo e la Naginata.
L'esercizio del Kata non si pratica solo nelle discipline marziali, ma in tutte quelle forme d'arte che abbiano come fine il Dō (, la "via"): si possono citare ad esempio lo Shodō, l'Ikebana, anticamente il Kado (composizione floreale) e il Chado. In tutte queste discipline ci si propone di fondere, attraverso la respirazione, la componente fisica e mentale eseguendo una predeterminata sequenza di gesti per raggiungere una più elevata condizione spirituale.
Ogni kata è composto da una serie di movimenti che ne costituiscono la caratteristica evidente, ma presenta altri elementi che sfuggono alla comprensione più immediata: i maestri che li hanno creati hanno spesso volutamente mascherato il significato di alcuni passaggi per evitare che altri se ne impadronissero. Per esempio i kata vennero mimetizzati in danze innocue nel periodo in cui ad Okinawa vigeva la proibizione di praticare le arti marziali.
Un particolare tipo di Kata è il Kata Bunkai: "Bunkai" significa letteralmente "smontare, fare a pezzi" e indica quindi l'applicazione del Kata alla realtà. Mentre i Kata possono essere eseguiti anche individualmente, il bunkai necessita di uno o più partner sui quali applicare le tecniche.

Dojo

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Dojo (道場 dōjō) è un termine giapponese che indica il luogo dove si svolgono gli allenamenti alle arti marziali. Etimologicamente significa "luogo () dove si segue la via ()". In origine il termine, ereditato dalla tradizione buddhista cinese, indicava il luogo in cui il Buddha ottenne il risveglio e per estensione i luoghi deputati alla pratica religiosa nei templi buddhisti. Il termine venne poi adottato nel mondo militare e nella pratica del bujutsu, che durante il periodo Edo fu influenzata dalla tradizione Zen, perciò è a tutt'oggi diffuso nell'ambiente delle arti marziali.
Nel budō il dojo è lo spazio in cui si svolge l'allenamento ma è anche simbolo della profondità del rapporto che il praticante instaura con l'arte marziale; tale ultimo aspetto è proprio della cultura buddhista cinese e giapponese, che individua il dojo quale luogo dell'isolamento e della meditazione.
I dojo erano spesso piccoli locali situati nelle vicinanze di un tempio o di un castello, ai margini delle foreste, in modo tale che i segreti delle tecniche venissero più facilmente preservati. Con la diffusione delle arti marziali sorsero numerosi dojo che venivano in molti casi considerati da maestri e praticanti una seconda casa; abbelliti con lavori di calligrafia e oggetti artistici preparati dagli stessi allievi, essi esprimevano appieno l'atmosfera di dignità che vi regnava; talvolta su di una parete veniva posto uno scrigno, simbolo che il dojo era dedicato ai più alti valori e alle virtù del , non soltanto all'esercizio fisico. In altri dojo si trovavano gli altari detti kamiza (sede degli dei), riferiti non a divinità ma al ricordo di un grande maestro defunto. Il dojo rappresenta un luogo di meditazione, concentrazione, apprendimento, amicizia e rispetto, è il simbolo della "via" dell'arte marziale.
In Occidente questo termine viene impropriamente tradotto in palestra e inteso unicamente come spazio per l'allenamento, mentre nella cultura orientale il dojo è il luogo nel quale si può raggiungere, seguendo la "via", la perfetta unità tra zen (mente) e ken (corpo) e, quindi, il perfetto equilibrio psicofisico, massima realizzazione della propria individualità. Il dojo è la scuola del sensei (maestro): egli ne rappresenta il vertice e sue sono le direttive e le norme di buon andamento della stessa; oltre al maestro ci sono altri insegnanti, suoi allievi, e i senpai (allievi anziani di grado) che svolgono un importante ruolo: il loro comportamento quotidiano rappresenta l'esempio che deve guidare gli altri praticanti; quando un senpai non si cura del proprio comportamento diventa un danno per tutta la scuola.
Nessun allievo avanzato prende dal dojo più di quanto esso non dia a sua volta: il dojo non è semplice spazio ma anche immagine di un atteggiamento, i dojo della "via" si differenziano in questo aspetto dai normali spazi sportivi: l'esercizio fisico può anche essere il medesimo ma è la ricerca del giusto atteggiamento che consente di progredire. L'allievo entra nel dojo e deve lasciare alle spalle tutti i problemi della quotidianità, purificarsi la mente e concentrarsi sull'allenamento per superare i propri limiti e le proprie insicurezze, in un costante confronto con sé stesso.
Il dojo è come una piccola società, con regole ben precise che devono essere rispettate. Quando gli allievi indossano il keikogi diventano tutti uguali; la loro condizione sociale o professionale viene lasciata negli spogliatoi, per il maestro essi sono tutti sullo stesso piano. Si apprende con le tecniche una serie di norme, che vanno dalla cura della persona e del keikogi (che mostra solo l'emblema della scuola), al fatto di non urlare, non sporcare, non fumare, non portare orecchini o altri abbellimenti (per evitare di ferirsi o di ferire), al fatto di comportarsi educatamente sino all'acquisizione dell'etica dell'arte marziale che discende da quella arcaico-feudale dei samurai: il bushido o "via del guerriero".
Il coraggio, la gentilezza, il reciproco aiuto, il rispetto di se stessi e degli altri sono dettami che entrano a far parte del bagaglio culturale dell'allievo. Nel dojo non si usa la violenza: non per nulla le arti marziali enfatizzano la forza mentale e non quella fisica, condannata prima o poi ad affievolirsi.
Si entra e si esce dal dojo inchinandosi: un segno di rispetto verso l'arte del ringraziamento per tutto ciò che di valido essa ha offerto. Anticamente nel dojo veniva eseguito il rito del soji (pulizia): gli allievi, usando scope e strofinacci, pulivano l'ambiente, lasciandolo in ordine per i successivi allenamenti. Tale gesto è il simbolo della purificazione del corpo e della mente: i praticanti si preparano ad affrontare il mondo esterno con umiltà, dote necessaria per apprendere e per insegnare l'arte marziale.


lunedì 25 luglio 2022

Quali sono le differenze tra il karate Kyokushin , Goju Ryu e Shotokan? Quale dovrei scegliere?

 




Quando mi chiedi quale dovresti prendere, ti chiedo perché stai facendo Karate? Lo stile che prendi dovrebbe corrispondere alla tua personalità, in una certa misura. I motivi principali per intraprendere un'arte marziale sono imparare la disciplina, l'umiltà, la concentrazione, il rispetto, la tradizione e l'amore per il prossimo. Se vuoi imparare a ferire e combattere, allora ho una risposta diversa per te.

Sono cintura nera di secondo dan nello Shotokan e posso dirti che è uno stile molto lineare, deciso e aggressivo. Il mio primo Sensei mi ha insegnato ad attaccare con una forza devastante e travolgente, con l'intento di lasciare il tuo avversario ferito o morto. Prima di insegnarci qualcosa, ci ha insegnato che non abbiamo nulla a che fare con qualsiasi tipo di alterco a meno che tutte le altre forme di fuga, richiesta di aiuto e logica non abbiano fallito. Dovevamo combattere solo quando la nostra vita o la vita di coloro che ci erano vicini erano in pericolo. Questo non significa quando avrai il naso sanguinante. Ha detto corri, urla, chiama la polizia, chiedi aiuto e, solo se tutto il resto fallisce, attacca con la ferocia di un uomo pronto a mutilare o uccidere. Queste lezioni sono state insegnate solo alle cinture marroni e nere e questi non erano l'obiettivo principale della nostra formazione. Avendolo detto, se quello che vuoi imparare è come combattere, ho una risposta diversa per te. Prendi il Muay Thai, la Western Boxing e il BJJ. Anche le arti marziali filippine sono fantastiche e anche il sottoinsieme chiamato Krav Maga è buono. La prima cosa che devi sapere è che il primo che perde la calma perde la battaglia. Il 95 percento di tutti i combattimenti sono vinti da chi tira il primo pugno. Chi perde il combattimento è quello che per primo rimane senza fiato. Puoi essere in ottima forma, ma se non sei abituato a ricevere pugni in faccia, 2 minuti sono un tempo lungo per combattere.

Infine, lascia che ti dica che se vuoi imparare a combattere, devi combattere. Non per strada, ma sul ring. Devi imparare a prendere un pugno e imparare che essere schiaffeggiato in faccia può romperti il ​​naso, ma nella maggior parte dei casi non morirai. Devi imparare a rafforzare il tuo corpo quando vieni colpito, perché un vero combattente ti colpirà al fegato e vorrai essere morto.


domenica 24 luglio 2022

Perché i pugni in faccia sono proibiti nel karate Kyokushin ?

 


È facile mettere fuori combattimento qualcuno facendo un pugno falciante improvvisato.

Proibire i pugni in faccia significa che per mettere fuori combattimento l'altra persona, gli si deve infliggere dolore. L'idea è di testare mentalmente la capacità di qualcuno di andare avanti quando è sotto pressione.

Molto raramente un calcio alla testa isolato viene lanciato da combattenti esperti, e ancor meno che si riesca ad atterrare l'avversario, per riuscire in questa impresa si richiede la manipolazione del posizionamento dell'avversario e lo sfruttamento dei punti deboli nelle reazioni dell'avversario.

Inoltre, allenarsi a mani nude con pugni alla testa non è davvero sostenibile. La maggior parte dei combattenti professionisti combatterebbe solo una volta ogni pochi mesi e può essere messo da parte dal punto di vista medico per mesi e mesi a causa di ferite alla testa, quindi quando il karateka combatte più volte alla settimana a pieno contatto sarebbe sciocco pensare che qualsiasi corpo umano possa uscirne illeso, anche prima che si consideri di farsi colpire la faccia 3 o più volte a settimana.

Combattere nel Kyokushin è una forma d'arte e lo stesso Kyokushin è uno stile di vita.

Non è un risultato finale, come una rissa dopo un bootcamp di 12 settimane.